CHIESA VIVA
   

 

 

 
 
 

 

 

 

Conoscere la Massoneria

 

Chiesa Viva n°370

Da giovane, Mazzini si era conquistato le grazie dei potenti occulti grazie ai suoi metodi più abbietti, dalla delazione, al tradimento, al vero e proprio terrorismo e assassinio politico. Così scrive lo storico E.Y. Yates: «Mazzini arrivava a far cadere deliberatamente dei sospetti di appartenenza alla Giovane Italia su gente innocente, come Braida, un popolare avvocato penalista di Genova, perché se veniva arrestato e imprigionato avrebbe incitato la plebaglia»1.

Oppure quando, citando Mazzini, scrive: «Ci sono uomini nel nostro esercito che una sola parola da parte degli arrestati sarebbe stata sufficiente a mandarli in prigione data la loro condotta nel 1821; e il loro arresto ci avrebbe apportato un gran bene»2.

Una madre ossessiva, un retroterra religioso giansenista di oscuro misticismo, Mazzini era cresciuto odiando ogni forma di autorità, ogni idea di progresso e, malgrado tante e vuote parole al contrario, l’idea stessa di una nazione italiana sovrana e indipendente.

Nel suo libro: “Leone Tolstoy e Giuseppe Mazzini”, Giuseppe Macaluso, un seguace occultista di Mazzini, scrive:

«(I Ruffini e Giuseppe Mazzini) giunsero a Londra nelle prime ore della mattinata del 13 gennaio 1837 (…)».

E lì, a Londra, la strada ai vertici dei potenti occulti gli fu spianata dallo storico Thomas Carlyle. Scrive, infatti, il Macaluso: «Fu in casa Carlyle, dove egli andava a colazione tutti i venerdì, accoltovi con un’assoluta semplicità, al Mazzini tanto gradita, che egli poté conoscere personaggi eminenti, come per esempio Carlo Darwin. Tra le famiglie, primeggiavano il nome degli Ashurst, degli Stanfeld, dei Taylor».

«In realtà, gli inviti decennali di Thomas Carlyle a Mazzini non erano che esigenze professionali per sfruttare l’amicizia e le tare psicologiche del “profeta” italiano per i loro fini strategici. Nel suo diario, Carlyle confessa che lo “stancava il suo incoerente giacobinismo e georgesandismo”. Eppure, mantenne un’amicizia con Mazzini per dieci anni!

Nelle “Lettere e Memoriali” della moglie, Jane Welsh Carlyle, così è citato lo storico inglese: “(…) fin dalla prima conversazione, le opinioni del Mazzini mi apparvero incredibili, e – insieme tragicamente e comicamente – impraticabili in questo mondo”.

Più tardi, nelle “Nuove lettere”, Carlyle descrive i tentativi politici mazziniani come “matte avventure”, aggiungendo snobisticamente che sua moglie si interessava agli esuli per “curiosità folcloristica”!

Se queste frasi possono rivelare il vero atteggiamento dei Carlyle verso l’“amico” Mazzini, esse riflettono nondimeno solo una parte della realtà. Nelle sue “Lettere e Memoriali”, così si confessa Lady Janes: “Un uomo ha il diritto di mettere la sua sicurezza alla mercé di chi vuole, ma nessuna sia pur grande fiducia in un amico può giustificarlo se fa tali pericolose confidenze che riguardano altri. Che cosa ci sarebbe di strano, per esempio, se io avessi mandato poche parole al Governo austriaco, avvertendolo delle progettate sommosse, solo perché le prevenisse e si salvasse la testa di Mazzini e quelle dei più, col sacrificio di pochi? (…). Credo che avrei ritenuto mio dovere, come amica di Mazzini, di far ciò”.

E così, dopo ogni fallita “matta avventura” mazziniana, causata da “poche parole” di una Jane Carlyle, il reclutamento di Mazzini diveniva sempre più totale. D’altronde, il compito si presentava alquanto semplice: bastava sfruttare la psicosi mazziniana, manipolare quell’ossessione che lo braccava sin dalla gioventù, quei sintomi di persecuzione che lo assediavano, nell’alternanza dei suoi stati maniaco-depressivi, quel “fuoco” che gli faceva odiare l’uomo e tutta la specie umana. In una lettera a Melegari, così Mazzini descrisse la sua “crisi nervosa”: “Ho voluto, lo giuro, far del bene con tutti coloro con cui sono venuto a conoscenza – e sempre gli ho nuociuto e ho nociuto a me stesso (…)”.

O durante la sua permanenza a Ginevra: “Ho bisogno di essere solo; ho bisogno di ricompormi, se possibile; ho bisogno di non vedere nessuno, altrimenti mi ucciderei o andrei fuori di senno”.

O in un’altra lettera a Giuditta. “Vorrei tanto mostrare affetto agli uomini, cioè di far loro del bene, ma non voglio più vederli. Sono malato moralmente – ho convulsioni morali come altri possono avere convulsioni fisiche – ci sono momenti in cui vorrei voltolarmi per terra e mordermi come un serpente (…). Porto un odio per gli uomini! Se tu potessi vedere il riso satanico che porto per essi sulle mie labbra! (…)”»3.

1 Cfr. E. Y. Yates, “Mazzini and the secret societies. TheMaking of a mith”.

2 Idem.

3 Cfr. Nuova Solidarietà, 25 febbraio 1985, p. 8.

 
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